DA CHE PUNTO GUARDI LA PRECARIETÀ… TUTTO DIPENDE
- Pubblicato in Gestione risorse umane, Strumenti per il mio lavoro
- Scritto da Corrado Cingolani
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Cosa perdiamo, se continuiamo a guardare gli accadimenti sempre dallo stesso punto di vista?
Quale potrà essere il filo conduttore che unisce i territori martoriati dal terremoto, con chi emigra per trovare un lavoro, con chi il lavoro lo perde e chi invece decide di lavorare nei luoghi di nascita, sperando di apportare il proprio contributo per migliorare la situazione del territorio?
Io, forse perché sensibilizzato in prima persona dagli eventi sismici che hanno coinvolto le Marche. Sicuramente perché iniziative come quelle organizzate da Gabriele Gabrielli con l’Associazione “LAVOROPERSOPERSONA”, riescono sempre a toccare le giuste corde della riflessione, fatto sta che i puntini messi lì, sembra per caso, credo invece di poter dare loro un senso.
(Interessantissimi i contributi del regista Giovanni Panozzo, Paolo Esposito, Luca Alici)
Proviamo a guardare da diversi punti di vista ed avere una prospettiva più ampia.
Ritornando alla domanda che mi sono posto. Certamente, la persona è elemento univoco nelle varie situazioni, in particolare però il “life motive” è rappresentato dalla “precarietà”.
Il terremoto azzera tutto, ogni certezza anche quella più tangibile, le mure domestiche, quelle mura tra le quali ci sentiamo completi e stabili.
Non focalizziamoci però sul mattone, seppur fondamentale elemento della casa. La HOUSE, fabbisogno igienico dell’uomo e la relativa fragilità determinata da modalità di costruzione non opportune, da luoghi inidonei all’edilizia e chi più ne ha più ne metta.
Vorrei invece focalizzarmi sull’HOME, sul focolare domestico e sulla precarietà quale elemento “filosofico” di spinta a dare il meglio di ognuno per raggiungere un obiettivo comune di equilibrio, comunque “instabile”.
Proprio così!!! Se le persone coinvolte in esperienze di vita, purtroppo critiche, come quella di un terremoto (e post) si stringono in una solidarietà ed una forza di coesione prima inesistente, perché non capitalizziamo queste esperienze “estreme” per farne tesoro e sviluppare scenari nei quali le persone possono liberare le loro energie e generare risultati utili per la comunità e conseguentemente anche per loro stessi!
Questo è valido sì, per la vita di tutti i giorni e ancor di più nella vita lavorativa. Nelle nostre organizzazioni cosa dovremmo fare, se non applicare lo stesso principio?
Proviamo ad utilizzare come sinonimo di precarietà, così come rappresentata, un termine a volte abusato in organizzazione come “comfort zone”.
Bene, esercitiamoci a creare scenari di crisi, esercitiamoci ad analizzarli, a ponderare i rischi e usciamo CONSAPEVOLEMENTE dalla nostra confort zone ed impegnamoci a far uscire anche le nostre organizzazioni, affinché acquisiscano nuove competenze distintive che generino quella stabilità, che in quanto apparente, non potrà che essere la base di partenza per approcciare ad un circolo virtuoso di innovazione, utile a cavalcare l’evoluzione del sistema esterno.
Permettetemi, vista la ricorrenza del 50enario della scomparsa del grande Totò, di terminare con una sua famosa e ripetuta frase: CHI SI FERMA E’ PERDUTO