TIROCINI le nuove LINEE GUIDA
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- Scritto da Maurizio Piccinetti
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TIROCINI le nuove LINEE GUIDA
Incontro Stefano Zanaboni, esperto di Servizi per il lavoro, per discutere con lui le nuove Linee Guida in materia di Tirocini richiamando alcune riflessioni, molto stimolanti, da lui esposte in un articolo pubblicato da WorkMag.
Le considerazioni, successivamente presentate, nascono appunto alla luce delle nuove Linee Guida in materia di Tirocini approvate in sede di Conferenza Stato/Regioni il 25 maggio del corrente anno. Da ricordare che le Linee guida rappresentano gli standard minimi di riferimento, anche per quanto riguarda gli interventi e le misure aventi medesimi obiettivi e struttura dei tirocini, anche se diversamente denominate.
Innanzitutto ribadiamo, a rischio di risultare superflui, cos’è un tirocinio?
Per dare una definizione corretta riporto quella data dalle stesse Linee Guida: “Il tirocinio è una misura formativa di politica attiva, finalizzata a creare un contatto diretto tra un soggetto ospitante e il tirocinante allo scopo di favorirne l’arricchimento del bagaglio di conoscenze, l’acquisizione di competenze professionali e l’inserimento o il reinserimento lavorativo. Il tirocinio consiste in un periodo di orientamento al lavoro e di formazione in situazione che non si configura come un rapporto di lavoro”.
Stefano quali cambiamenti introducono le nuove Linee Guida rispetto a quelle del 2013, sempre in materia di tirocini?
“Il recente accordo definisce, soprattutto per i tirocini extracurriculari (quelli cioè maggiormente passibili di indebito utilizzo da parte delle imprese), una normativa leggermente più stringente e vincolante: normativa tesa da un lato a qualificare lo strumento del tirocinio e, d’altro lato, a frenarne gli abusi nell’utilizzo. Abusi rappresentati sostanzialmente dall’utilizzo della modalità Tirocinio come “copertura” per prestazioni che dovrebbero invece essere remunerate dall’azienda con un vero e proprio contratto di lavoro.
Ma se il tirocinio è una misura formativa di politica attiva, come ribadiscono le Linee Guida perché il tirocinio è attivabile anche come misura a sé stante, ovvero al di fuori di un percorso formale di P.A.L.?
“Sarebbe importante stabilire che per tutte le persone in cerca di occupazione, e non appartenenti a categorie protette, il Tirocinio è attivabile solo ed esclusivamente se la persona è inserita all’interno di un percorso formale di Politica Attiva del Lavoro. Questo peraltro “costringerebbe” le Regioni in ritardo nel fornire un servizio effettivo di accompagnamento al lavoro a chi ha più di 30 anni e non è percettore di Naspi, e ad organizzarsi velocemente in tal senso. Per esempio, fermi restando gli attuali vincoli numerici stabiliti dal nuovo Accordo, per quanto concerne il numero di tirocinanti che ogni azienda può ospitare, si potrebbe prevedere una riduzione automatica di tali numeri, fino al loro azzeramento per periodi temporali anche significativi, in caso di mancata trasformazione del tirocinio in contratto di lavoro e, del pari, un loro automatico elevamento in caso di trasformazione del tirocinio in contratto di lavoro”.
Questa proposta potrebbe non trovare il gradimento delle imprese. In particolare quelle di grande dimensione, di alcuni specifici settori produttivi, che sostengono da sempre la prevalenza del carattere formativo del tirocinio su quello di inserimento. Ma su questo ci sono i margini per aprire una seria discussione con le Parti Sociali.
Stefano raccontiamo come si sostanzia un percorso di politica attiva?
Attraverso un vero e proprio accompagnamento al lavoro. È un percorso che parte dagli operatori dei Servizi per il lavoro (pubblici e privati) ed arriva al posto di lavoro. Si concretizza schematicamente nella fase di orientamento preliminare e informativo, nella presa in carico e nella stipula del patto di servizio, nell’orientamento specialistico se necessario, nelle azioni di scouting e di accompagnamento e infine nell’inserimento lavorativo. All’interno di tale percorso possono essere attivati, se funzionali all’obiettivo, strumenti quali la formazione (che integra un eventuale gap di competenze tecniche rispetto all’obiettivo professionale) o, appunto, il tirocinio (che integra un possibile gap esperienziale rispetto al lavoro o risponde ad una necessità di apprendimento pratico on the job manifestata dall’impresa potenzialmente interessata ad inserire nella propria organizzazione l’utente).
Come tu affermi, non si può negare l’evidenza che il tirocinio rappresenti una modalità utilizzata dalle imprese per “sperimentare” la risorsa direttamente sul luogo di lavoro, per verificarne le competenze trasversali e le attitudini, anche comportamentali. Questo è confermato dall’interessante tasso di trasformazione dei tirocini di Garanzia in veri e propri contratti di lavoro. Tasso che, sia pur con percentuali diverse nei vari territori, è comunque significativo.
Ciò nonostante chi critica lo “strumento” tirocinio o il suo abuso, sottolinea come la sua durata massima (12 mesi), sia eccessiva, [a ragione n.d.r.], anche in virtù di ciò che afferma il Consiglio dell’Unione Europea, che definisce il tirocinio come “un periodo di pratica lavorativa di durata limitata”.
Come ricordi, anche Michele Tiraboschi, dalle pagine del Corriere della Sera, ha posto la questione domandandosi “perché un’azienda dovrebbe assumere un giovane quando può tenerselo a lavorare, a volte anche per un anno, riconoscendogli una ridicola indennità mensile?”
Stefano ribadisce una tesi, portata sui tavoli nazionali da Rete Lavoro*: “L’obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre la durata dei tirocini. Se il tirocinio è una fase del percorso di accompagnamento – e assolve in tal senso alle finalità prima espresse – una durata di due/tre mesi (prorogabile a quattro/sei per giustificati e documentati motivi) può essere più che sufficiente. Sufficiente anche a scoraggiare chi continua a vedere nel Tirocinio un modo per pagare molto meno e in modo comunque legale persone che dovrebbe essere veri e propri lavoratori dipendenti”.
Al termine di questo interessante colloquio con Stefano Zanaboni, una proposta comune da portare all’attenzione del legislatore.
Prima di arrivare a ridurre la durata massima del tirocinio (auspicabile), conformandola almeno con quella prevista dai percorsi di formali di politica attiva (6 mesi), si potrebbe introdurre alcune misure deterrenti, come eliminare la possibilità, per chi utilizza il tirocinio per una durata maggiore, di accedere ai bonus occupazionali, in caso di assunzione del tirocinante. E dato che il Consiglio dell’Unione Europea sostiene “che il tirocinio serve a facilitare la transizione verso un’occupazione regolare”, stabilire una riduzione dei tirocinanti ospitabili in caso di reiterata mancata trasformazione del tirocinio in contratto di lavoro.
*Rete Lavoro è l’Associazione nazionale di rappresentanza delle Agenzie per il lavoro autorizzate che operano nell’intermediazione.
Stefano Zanaboni è il titolare di Work Experience piccola società (in termini dimensionali n.d.r.) specializzata nella progettazione e nell’erogazione di Servizi per il Lavoro, che aderisce, come Per Formare, a Rete Lavoro.
Le nuove Linee Guida in materia di Tirocinio sono scaricabili anche sul sito www.performare.eu