DIGITAL TRANSFORMATION
- Pubblicato in Formazione valore aggiunto
- Scritto da Maurizio Piccinetti
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Giovedì 30 marzo si è svolto l’interessante seminario “Digital Transformation – Value Chain” promosso da Value Network, a cui Per Formare aderisce.
Cerco di darne una mia lettura utilizzando il concetto di sviluppo sostenibile come chiave di interpretazione della trasformazione.
Partiamo da un assunto.
Le tecnologie digitali hanno trasformato il modo in cui facciamo le cose in ogni ambito della sfera umana. Questo fenomeno non tenderà certo a diminuire, anzi, si prevede che oltre la metà dei lavori che verranno svolti tra non più di due decenni, devono ancora essere inventati e che in questo lasso temporale la metà di quelli che conosciamo verrà automatizzata.
Ciò significa che le abilità, le conoscenze e le competenze imposte da questa rivoluzione digitale saranno altre da quelle che oggi abitualmente maneggiamo.
Minaccia o opportunità?
La ricerca Skills Revolution, presentata al World Economic Forum 2017 di Davos, tra le sue conclusioni sostiene che “la digitalizzazione e l’automazione coprono spazi sempre più ampi dell’economia e possono rappresentare un’opportunità sia per le aziende che per le persone attive nel mondo del lavoro, purché si preparino alla trasformazione”.
L’uso della congiunzione introduce una proposizione condizionale. Sarà verosimile tutto ciò? Cerchiamo di attenerci ai fatti.
In Europa è largamente diffusa la convinzione che attraverso una digitalizzazione più pervasiva all’interno delle imprese sia possibile dare vita ad una quarta rivoluzione industriale in cui il fattore “costo della manodopera” perderebbe rilevanza a tutto vantaggio del “fattore culturale”.
In altri termini al posto di manodopera a basso costo dovremmo avere robot, sensori, apparati e applicazioni software, con operai, tecnici e manager preparati a gestirli. Detta così può sembrare solo una minaccia, ma giriamo la faccia della medaglia. In questo modo siamo in grado di leggere l’opportunità che consiste, ad esempio, in una vera e propria inversione a U che riporterà le grandi aziende a rilocalizzare le fabbriche, delocalizzate per via del basso costo della mano d’opera (a sostegno di questa “tendenza” osserviamo, ad esempio, la scelta di Adidas che è tornata a produrre in Germania, dopo 20 anni di produzione in Asia, grazie proprio ai robot).
Ci troviamo di fronte ad un cambio di paradigma che apre concretamente nuovi scenari nella produzione di beni e servizi e nel mercato del lavoro. Una rivoluzione che è stata denominata Industria 4.0 e che attraversa le diverse industrie dei Paesi, a cominciare dal manifatturiero.
I cardini intorno ai quali ruota questa rivoluzione sono: la raccolta e l’analisi dei dati come strumento di conoscenza; il rapporto-interazione uomo-macchina, ossia strumenti, interfacce e linguaggi per rapportarsi utilmente con esse; il ponte tra digitale e reale, ossia trovare i modi e gli strumenti per produrre i beni con nuova efficacia/efficienza.
Siamo pronti ad affrontare questa nuova rivoluzione tecnologica, che passa attraverso la trasformazione digitale?
Stando all’analisi realizzata da Oxford Economics la rivoluzione tecnologica avrà un impatto tangibile su 54 milioni di persone solo tra Francia, Germania, Spagna, Inghilterra e Italia. Purtroppo a partire dai dati analizzati sempre da O.E. il capitale umano digitale italiano è tra i più poveri in Europa. Infatti risultiamo al 25° posto su 29 Paesi.
Questo impone un nuovo modello dove la centralità delle persone nelle organizzazioni diviene essenziale, non solo per adeguare le stesse a rispondere alle esigenze del mercato. La persona, nel doppio e inscindibile ruolo lavoratore/consumatore, sta sempre più al centro e tutto questo è possibile solo se si tende a realizzare un sviluppo realmente sostenibile.
Le nuove conoscenze e abilità richieste alla forza lavoro costituiscono un nuovo stock di competenze a cui allenare le nuove generazioni (cosa che la Scuola sta già iniziando a fare inserendo nella programmazione didattica i corsi di coding), ma che parallelamente deve riguardare anche gli adulti attivi sul lavoro, affinché non si trovino ad essere spiazzati culturalmente dagli eventi, quando già non lo siano.
Le nuove conoscenze di base combinate con queste nuove abilità richieste, sono riconducibili al cosiddetto “pensiero computazionale”, che è legato indissolubilmente al “pensiero critico” a cui deve aspirare e che in definitiva contribuisce ad ampliarne la portata e gli ambiti di applicazione.
Per Formare ha presentato, insieme ad altri partner europei, il progetto “New Adults’ Competences for Skills Revolution” che si propone proprio di contribuire ad accrescere le competenze di “pensiero computazionale e critico” nella popolazione adulta per cercare di provocare utili ricadute socio-economiche, in primis quella di accrescerne l’occupabilità.
Sergio Rossi, responsabile progettazione europea di Per Formare, ci spiega: “La proposta formativa prevede apprendimenti trasversali rispetto all’ambito delle “8 competenze europee”, in particolare riconducibili alla competenza matematica scientifica e tecnologica, la competenza digitale ed anche spirito di iniziativa e imprenditorialità. Ispirandoci a modelli collaudati di apprendimento come la Tassonomia di Bloom (1956) e la sua estensione digitale proposta nel 2008 da A. Churchs (Bloom’s Digital Taxonomy), ci prefiggiamo di formare indirettamente un vasto bacino di destinatari finali, costituito da persone adulte in età lavorativa, intervenendo su di loro attraverso l’azione di agenzie formative dei paesi partner di progetto che verranno opportunamente formate sugli strumenti innovativi che meglio si prestano per il compito”.
Per una nuova etica della crescita digitale è necessario pensare ad una nuova “people strategy” nell’ottica di uno sviluppo sostenibile.