Il dialogico è opposto al patologico
- Pubblicato in Gestione risorse umane, Strumenti per il mio lavoro
- Scritto da Corrado Cingolani
- Commenta
- Articolo letto 3.899 volte
- Permalink
Se c’è scambio, reciprocità, troviamo relazione, movimento, arricchimento, dove c’è negazione del dialogo, c’è la presunzione di bastare a se stessi, ma ciò non può essere considerato “sano”.
Da qua riprendo un argomento a me molto caro: il Dialogo
Il dialogo è relazione per eccellenza nell’agire di un individuo, sia nell’ambito sociale, sia politico e senza dubbio anche in quello organizzativo; esiste dove ci sono diversità che si incontrano, si utilizzano ma NON si confondono, schiacciano, omologano.
Due elementi diversi, prendono l’uno dall’altro e viceversa, indifferentemente dal ruolo organizzativo, dal grado e dalle competenze.
Se questo è lo strumento per superare la complessità e le molteplici diversità portate dalla globalizzazione, una organizzazione aziendale ed i suoi amplificatori di dialogo, i manager, come dovrebbero strutturarsi?
Ripercorrendo le riflessioni dei precedenti articoli, avevo inteso:
- l’organizzazione, sia come “artefatto”(pianificato-progettato-costruito) capace di realizzare determinati output in modo razionale ed economico, sia come “comunità” di soggetti….…
- dirigere, come la capacità di ascoltare le “ragioni delle persone e le ragioni dell’organizzazione”……….……….
- l’organizzazione vista dalla prospettiva di natura del sistema, è essa stessa un sistema vivente ed anche in questa accezione si riscontra una dualità; è un sistema chiuso in quanto tende alla conservazione e alla riproduzione di se, aperto poiché in osmosi con l’esterno…….
- dirigere sviluppando la capacità di“essere fra”, da una parte nell’osmosi interno\esterno, dall’altra la frontiera interna fra i timori del nuovo ed il desiderio/necessità di andare appunto oltre,………
- Fattor comune delle organizzazioni è l’esercizio del “governo” dell’organizzazione, o per meglio dire la gestione del Potere….
Ogni tipo di organizzazione ha il suo sistema “gerarchico” che, riconosciuto da tutti, ha il ruolo di gestire efficacemente le funzioni della vita collettiva, ma fondamentale è che non ecceda in autoritarismo, soffocando il “potere personale” di ciascuno dei componenti, facendo venir meno quei legami creativi e generativi;…………… - Dirigere, come educare all’ all’interdipendenza, intesa come capacità di instaurare reti di relazioni adeguate al mutare dei problemi, dei contesti e delle situazioni.
Oggi servono benessere e dialoghi organizzativi, non solo per star bene, ma anche per produrre risultati
Governare una società, è un’azione da esercitare in una dimensione più ampia ed etica, più solidaristica, che non si riduca alla limitata ed improduttiva razionalità dell’obiettivo “qui e ora”, non è produttivo, un ambito di ipercompetizione dove c’è “lotta contro” e non “lotta per”.
Per far ciò, è necessario che la struttura organizzativa sia sempre più incline al continuo cambiamento, perché oggi i tempi sono rapidi e l’innovazione per essere sempre competitivi non sono compatibili con i tempi gerarchici.
Esiste un modello alternativo? La risposta sembra poter arrivare, come spesso capita, da oltre oceano e portata in Italia da David Stark ( Professore di Sociologia alla Columbia University, dove dirige il “Center on Organizational Innovation”. Il suo recente libro, The Sense of Dissonance, è il manifesto del suo pensiero).
L’alternativa è rappresentata dall’Organizzazione Eterarchica.
L’eterarchia riconosce l’importanza di pluralità di metriche, ordini o convenzioni per la creazione del valore, agevolando la concezione di valori dissonanti “organizzazione della diversità e diversità nelle organizzazioni”.
Importanti, le azioni di innovatori capaci di creare valore della “creative friction” tra queste visioni plurali.
L’elemento cruciale delle organizzazioni è pertanto rappresentato dalla convivenza di più principi, convenzioni di creazione di valori che non separino le dimensioni economiche, tecniche, cognitive e morali.
- Guardando a casa nostra, l’imprenditoria, le organizzazioni, sono pronte ad un passaggio che produrrebbe una cesura netta sul modo di concepire l’organizzazione gerarchica?
- Inoltre, gli “innovatori”, i manager, sono pronti ad intraprendere un’avventura così sfidante?
- Potrebbero essere le competenze trasversali quelle da sviluppare?
- Le funzioni HR, farebbero bene a curare con maggior focalizzazione il cd. “Capitale Psicologico”?
Tutto qua, sono queste ”semplici“ quattro domande che mi sono balenate in testa dopo aver letto per la prima volta l’impatto di una organizzazione eterarchica.
C’è tra noi qualcuno che ha iniziato a darsi anche delle risposte?
Sarebbe sicuramente interessante condividerle, da parte mia lo farò sicuramente non appena ne avrò per poterne dibattere insieme, che ne dite?