Il malessere non è più produttivo
- Pubblicato in Gestione risorse umane, Strumenti per il mio lavoro
- Scritto da Corrado Cingolani
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Dirigere, governare una società, è un’azione da esercitare in una dimensione più ampia ed etica, più solidaristica, che non si riduca alla limitata ed improduttiva razionalità dell’obiettivo “ qui e ora”, non è produttivo un ambito di ipercompetizione dove c’è “lotta contro” e non “lotta per”.
Nel mondo della complessità non si può buttare via nulla, nessuna idea, nessuna visione, nessuna percezione e nemmeno nessuna fantasia, desiderio, passione; si rende necessario far lavorare il nostro sistema cognitivo, la capacità di ascolto, di relazione e il nostro inconscio.
Fondamentali sono la conversazione e dialogo con sé e con gli altri, per costruire e socializzare una visione reale del nuovo, per valutare il passato e progettare il futuro: nel cambiamento imparare l’esistente cercando l’inesistente, l’ignoto, nella consapevolezza della nostra incompiutezza.
Questo è il periodo che evidenzia la crisi della dipendenza gerarchica tra responsabilità diverse, che si rifà alla legge del più forte o al principio “ubi maior minor cessat” e che senza dubbio favorisce l’arroganza, la prevaricazione e l’ingiustizia di chi comanda e la rinuncia di chi dovrebbe ubbidire.
La concentrazione del potere in nome di unità e funzionalità, in antitesi con l’esigenza di gestione della complessità, che richiede la valorizzazione della diversità, l’accoglimento delle differenze, la sintesi e non la riduzione, fa si che nelle organizzazioni, le risorse e le competenze non siano sinergiche, bensì, che vengano sprecate in nome della difesa dell’esistente, a discapito dell’innovazione (e dell’impresa), evidenziando un contesto dove conta più la posizione della competenza e dove la competizione riduce le diversità e le ricchezze ad esse sottese.
Eppure, anche se con modalità diverse, il “potere” nelle aziende, e non solo, sembra sia sempre più verticistico, un’idea di esso che si riscontra nelle situazioni di emergenza dove la dialettica e la libertà di partecipazione sono ridotte ai minimi termini, per far fronte alla straordinarietà degli eventi.
Ma la complessità dei processi necessita di un potere più diffuso come più diffuse dovrebbero esser competenze e conoscenze, tanto che, a volte, il potere astratto (formale) è concentrato, mentre nella realtà dei fatti, l’organizzazione reale tende ad una maggiore democrazia, più partecipazione, rendendola così più efficiente di quella formale.
Si corre però il rischio, soprattutto nelle grandi organizzazioni, di fraintendimenti e che sia il grado\carriera a determinare la competenza e non viceversa, condizionando le competenze professionali “in basso” (a contatto con il cliente) dando loro troppo poco peso.
Questa carenza di pluralismo e integrazione tra i vari poteri professionali, in funzione dell’unità di comando, sfocia nei confronti del vertice, in un atteggiamento di dipendenza ed obbedienza acritica ed opportunistica.
“Allineati e coperti”, per dirla in termini militareschi, comunque comportamenti che esprimono poca solidarietà e molta competitività e diffidenza nei confronti dei colleghi e disattenzione nei confronti dei collaboratori, creando relazioni organizzative poco efficaci.
Sono le esperienze a dimostrarci che c’è necessità di maggiore partecipazione nelle responsabilità per portare più ascolto, credibilità e competenza verso i clienti ed il mercato, ottenendo anche relazioni organizzative più efficaci, in quanto fondate su competenza e relazione umana.
Pur essendo ancora rari i casi in cui si sono sviluppati modelli di partecipazione e condivisione delle responsabilità, oggi le società, i gruppi e le organizzazioni sono caratterizzati da legami più leggeri e meno inclusivi; meno apparenza (formalismo), più pragmatismo ma anche più anomia.
Oggi pertanto, chi dirige deve garantire unità e legami, contemporaneamente, diversità e conversazione e per far ciò deve trovare qualcosa che unisce.
Non c’è più la società industriale, capace di riconoscere e gestire conflitti derivanti da interessi contrapposti.
Oggi, con l’evoluzione tecnologica e nella visione internazionale del lavoro globalizzato, la questione nasce dalla complessità dei processi produttivi e del modo di produrre ricchezza e convivenza, dove le diversità non sono solamente due poli contrapposti, ma sono molteplici e non possono essere ne ignorate ne rimosse, ma nemmeno “sprecate”.
È il momento in cui i modelli adottati fin’ora dovranno essere necessariamente utilizzati ma con l’intento di costruirne nuovi, idonei ad approcciare un mondo, forse più ricco, ma che richiede nuove visioni.
Dirigere significa anche non sottrarsi ad essere pionieri in questi nuovi percorsi ed alla responsabilità oltre le formali attribuzioni.
Oggi occorre benessere e dialoghi organizzativi, non solo per star bene, ma anche per produrre risultati, oggi il malessere non è più produttivo.